Sottobosco degli Infami e dei Reietti

Il Teatro di Tor di Nona in una fotografia del 1800

Nonostante ingiusta e generalizzante nomea che per le contraddizioni di un’epoca le relegava, comunque, anche nei momenti di fulgore entro l’ambiguo contesto dei “Diversi” e che, poi, finita l'”effimera gloria quasi contestualmente all’effimera bellezza” rinchiudeva per sempre molte di loro nel Sottobosco degli Infami e dei Reietti, le donne del mondo dello spettacolo non ardivano comunque protestare (limitandosi magari a cercare qualche, momentaneo, potente innamorato che offriva protezione e servigi) = infatti (e comunque seguite anche da molte donne dato l’imperante maschilismo) rinunciavano quasi sempre ad una denunzia sia per i veri e propri tormenti che comportava una testimonianza in merito a donne denuncianti sorprusi su qualsiasi tema e specie su questo di ordine sessuale, stante il fatto che poi, se era attivata la procedura, dovevano sottoporsi ad una umiliante e vergognosa visita “medica” per verificare o meno la validità della loro asserzione

Nel bel Teatro di Tor di Nona contro un’usanza che datava ormai da molto Cristina di Svezia, forte certo del suo prestigio ma anche di un coraggio non comune, osò giustamente sfidare queste costumanze ed anzi non ebbe alcun timore né alcuna remora nel farvi debuttare le sue “belle canterine” od “ammalianti sirene, abili nella malia della fascinazione e della perdizione degli uomini” (come sosteneva lividamente qualche impotente e misogino arciconservatore) Angelina Quadrelli, Antonia Coresi, Maria Landini e Giorgina, in pratica obbligando papa Clemente X ad abrogare l’ordinanza del 1588 che [nel nome di una controriformista moralizzazione, supposta quanto criticabile di quella grande espressione culturale che stava divenendo di nuovo il Teatro (ritenuto però dalle frange più conservatrici del clero causa di paganeggiante induzione al peccato)]
vietava severamente alle “vere” donne (sostituite con i castrati) di calcare le scene
considerandosi in senso esteso le donne, sin da Eva la progenitrice, l’anello debole della catena morale dell’umanità per la loro tendenza a peccato, vanità e lascivia
e nella fattispecie reputandosi le Attrici e le Cantanti una sorta di apoteosi di questa strutturale propensione femminile a peccare ed a tentare gli uomini.

Le rappresentazioni erano però permesse unicamente nel periodo di carnevale (momento di svago lecito ma infinitamente più complesso di quel che oggi si ritiene) ma Filippo Acciaiuoli, frequentatore del salotto di Cristina di Svezia, aveva ottenuto il permesso da Clemente X di rappresentare spettacoli al di fuori del periodo deputato: e, per rendere possibili gli allestimenti, il teatro passò nelle mani dell’Acciaiuoli stesso che lo acquisì in affitto per milleduecentocinquanta scudi l’anno.

E fu proprio sotto la “direzione artistica” dell’Acciaiuoli che il palcoscenico fu calcato da donne per un tempo limitato purtroppo, dal 1671 al 1674 = infatti dopo che la direzione era passata a Marcello De Rosis nel 1675 il teatro venne chiuso per i festeggiamenti del Giubileo (sulla cui valenza si propone qui una carta tematica digitalizzata per settori), e rimase in disuso per sedici anni fin ad esser riaperto nel 1690 e completamente rinnovato negli interni, con la costruzione della sala a ferro di cavallo prima di esser demolito nel 1697 per ordine di Innocenzo XII (1691-1700), al secolo Antonio Pignatelli ispirato ad un rigore religioso che egli impose alla città e giungendo, giustamente, alla condanna del nepotismo con un’apposita bolla (cosa che coimplicava nessuna concessione di favori ai parenti e abolizione di qualsiasi forma di fasto; il papa arrivò addirittura a far appunto demolire il Teatro di Tor di Nona. L’unica sua, peraltro lodevole, preoccupazione fu l’assistenza ai poveri e agli orfani, che provvide a far ricoverare presso l’edificio di San Michele a Ripa).

A prescindere da questa prima sua fine (il “Tordinona” ebbe due altre ristrutturazioni nei secoli) per il “Teatro non eran state comunque sempre rose e fiori” già prima, anche e nonostante l’importanza socio-politica di Cristina = infatti l’alternarsi dei Papi e il latente ma sempre rinascente conservatorismo era troppo forte. E così approfittando della presunta moralizzazione indotta dall'”evento giubilare” la proibizione di esibirsi in Teatro per le donne venne riportata in vigore già da Innocenzo XI, che detestava la regina per i suoi costumi irriverenti e scandalosi oltre che per i suoi enigmatici interessi per le Scienze anche proibite come l’Alchimia e per altri motivi ancora per il pontefice tra cui le posizioni avanzate della “svedese” in materia di libertà di culto, culminate nella sua dichiarazione del 15 agosto 1686 in cui si proclamò “protettrice degli ebrei di questa città di Roma”, promettendo di punire severamente chiunque li avesse insultati o malmenati come anche il di Lei rapporto di intimità e di complicità con il “libertino” cardinale Decio Azzolini, che designò suo erede ed esecutore testamentario.

Ma verosimilmente Innocenzo XI “odiava” -nel senso reale della parola- l’ indocile regina soprattutto perché lo aveva apostrofato ironicamente e pubblicamente quale
******************”Minchion”******************
sì da render questo appellativo un nome che gli restò incollato [Dalla parola “Minchia” si son prodotti anche altri termini derivati come minchiata (per indicare sciocchezza) o minchione, per indicare una persona sciocca (cioè quella che, nei dialetti più settentrionali, viene chiamata coglione) = La derivazione più probabile è dal latino mencla, formula volgare di mentula, che indicava appunto l’organo sessuale maschile = tra le cose che urtavano ancor più il Pontefice era il fatto che l’epiteto stava avendo proprio ai suoi tempi una fortunata e comica visitazione letteraria dato l’uso ripetutamente fattone da
Lorenzo Lippi nel suo poema eroicomico Il Malmantile Racquistato: opera edita postuma nel 1676 e di cui A. Aprosio come qui si legge nella sua Biblioteca Aprosiana aveva avuto già prima del 1673 degli stralci da lui pubblicati (pag. 527, da metà a pag. 530)].

Cristina non vide quindi proseguire il suo sogno sulla sola esibizione di “Canterine” in merito alle voci femminile ed anzi la polemica su “Canterine” e “Evirati Cantori” cui partecipò come detto A. Aprosio naturalmente continuò: anzi, a dire il vero, dalla polemica si giunse sin quasi al mito ed alla leggenda con la comparsa sulle scene del
Farinello o Farinelli nome d’arte di Carlo Broschi celeberrimo fra i più celebri tra i castrati cioè quegli evirati cantori – che sulla linea di una tradizione eminentemente italiana ed attraverso un intervento chirurgico prepuberale di cui poco in fondo si sa, in quanto perseguito dalla legge e svolto quindi in assoluta segretezza e che comunque generò una
colossale disputa teologica e giuridica in ambito ecclesiastico passata attraverso i secoli e le ideologie e che è vitale analizzare – in diversi casi mantennero una straordinaria e potente voce da soprano.

da Cultura-Barocca

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